Finalmente il tagliere con l’antipasto.
Fame.
– Vorrei brevemente illustrarvi l’origine dei prodotti del nostro tagliere.
– Eh? Ah, si. Grazie.
– Questi sono due tipi di affettati, il primo è un salame di suino nero dei nebrodi, alimentato semplicemente a bacche di ginepro verde, quindi assai più magro del normale. Viene abbattuto solamente in macelli verificati dalla campionatura controllata dall’unione europea, con un peso che non può superare gli ottanta chili.
– Scusi, altrimenti?
– Altrimenti cosa?
– Se pesa di più?
– Se pesa di più viene lasciato libero nei boschi.
– Mio zio Aldo sarebbe libero da un pezzo allora.
– Come?
– Niente, scusi. Prosegua.
– L’altro salame proviene dalle terre delle Madonie, a chilometro zero…
– Veramente ci sono almeno cinquanta chilometri…
– …è un salame di cinghiale marsicano a pelo ispido, e la particolarità è che viene macerato per dodici anni con acqua e zenzero cileno, fino a quando qualcuno non si accorge che è rimasta della carne putrefatta nell’acqua e ne fa del salame.
– Interessante. Possiamo…
– Poi ci sono quattro tipi di formaggi a pasta friabile: il primo è una provola…
– …mi faccia indovinare: a chilometro zero?
– No, al chilometro 34 della statale 112. È un formaggio di vacca EVA.
– Vacca Eva?
– Si signore. Effettivamente Vergine Autentica, una razza pregiata che bruca solamente erba di montagna oltre i tremila metri dal livello del mare. Una volta una vacca ha brucato dell’erba portata da un livello inferiore ed è stata giustiziata dal plotone di controllo delle vacche pregiate e venduta a trance alla Mc Donalds.
– Se l’è meritata. Ci scusi, avremmo fame…
– Questo è un piacentino ennese, lavorato con zafferanno ennese, condito con pepe…
– …ennese?
– No, pepe di cayenna della maremma maiala, famoso per la sua consistenza molle e il sapore deciso. L’altro formaggio è un caciocavallo a crosta larga, prodotto da latte di capra del Belice sopravvissuta al terremoto del 68, trattata con dolcezza da pastori educati alle scuole Montessori, ripassata nell’estratto di Nero d’Avola essiccato a forno a duecentodieci gradi celsius.
– Grazie. Possiamo mangiare, col suo permesso?
– Questo è un pomodorino secco macerato al sole, come facevano i nostri nonni…
– I nostri?
– Si.
– Ma abbiamo nonni in comune, scusi? Lei come fa di cognome?
– No, che c’entra? Dicevo così per dire…
– E non dica.
– Mi scusi. Mio nonno essiccava il pomodoro al sole, tenendolo otto settimane e mezzo.
– Come Mickey Rourke?
– Quasi. E poi c’è la ricotta al forno, prodotta da pecore allo stato semi brado, guidate da un cane pastore allevato alla Bocconi…
– Bocconi Pal?
– Anche. E infornata dodici volte.
– Mi scusi, ma dodici volte in quanto tempo?
– In un quarto d’ora.
– Ah, allora va bene.
– Le cipolle in agrodolce arrivano da coltivazioni rigorosamente tenute nascoste al consumatore per salvaguardarne la bontà e non diffondere i segreti della lavorazione.
– Ottima idea. Adesso se ci lascia…
– Le salsine sono lavorate in nero da minori rigorosamente selezionati in base alla razza…
– Grazie!
– …mentre le marmellate di mirtilli di Volterra devono accompagnare i formaggi tenendo chiuso l’occhio destro alternativamente al sinistro…
– Basta!
– …i funghi primaticci sono stati rubati dalle migliori campagne del catanzarese…
– Se non se ne va immediatamente le tiro il tagliere a chilometro zero.
– Mi spiace contraddirla, signore, ma il tagliere non è tutto a chilometro zero. Esistono dei prodotti importati, che, come le dicevo…
– Non mi sono spiegato. Glielo spacco in testa qui, a chilometro zero, o meglio, a centimetri dieci. Ci lasci mangiare!
– Come vuole signore. Mi spiace che non abbia ascoltato l’origine del rosmarino romagnolo…
– Suca.
– Vado, signore.
– Grazie.