memoria

tempo-che-sfugge

 

  • Buongiorno dottore. So che lei si occupa di disturbi della memoria.
  • Dice? Non ricordo.
  • Non faccia lo spiritoso, la mia situazione è seria. E unica.
  • Stia tranquillo, la memoria è come un muscolo. Va esercitata, e se la trascuriamo si atrofizza.
  • Per me è diverso.
  • Adesso vediamo. Le farò una serie di test mnemonici per valutare l’efficacia della sua memoria.
  • Dottore, ma io lo so già. I miei ricordi sono eccezionali.
  • E allora perché si lamenta?
  • Io ricordo con impressionante dovizia di particolari fatti accaduti decine di anni fa.
  • Mi faccia capire. È questo il suo disturbo allora?
  • No, non è questo. Il mio problema è un altro. Non ho memoria del futuro.
  • Buona questa. Vedo che non sono solo io che faccio lo spiritoso.
  • Dottore, mi stupisco di lei. La memoria non è solo passato. È anche ricordare i propri progetti, gli appuntamenti, gli impegni, le ambizioni…
  • In questo caso lei non ha problemi di memoria. Semplicemente ha voglia di vivere alla giornata. Succede, sa?
  • Fuori strada. Io tengo famiglia, un buon lavoro, e sono anche discretamente benestante.
  • Forse si vuole godere il presente, e non pensare troppo a ciò che verrà. Non è grave, amico mio.
  • Dottore, io non cosa devo fare domani. Ma che dico domani? Io non so cosa mi aspetta uscendo fuori di qui. Non riesco a prendere un appuntamento perché lo dimentico, non posso andare da dentista se non facendogli una sorpresa, se al telefono mi dicono “ci sentiamo domani”, dopo pochi secondi non ricordo più questo messaggio.
  • E ricorda però la telefonata?
  • Si, tutto. Escluse le informazioni che riguardano il futuro. È come se la mia mente filtrasse e scartasse tutto quello che riguarda le cose ancora da accadere.
  • Eppure riesce a vivere. Le cose le fa, mi pare di capire.
  • Le faccio, dottore. Vado a cena fuori perché mi ci porta mia moglie. Non posso prendere impegni, dimentico anche di scrivermeli sull’agenda, ho un rifiuto totale. Ma non sono un nostalgico, non sto lì a pensare sempre al passato. Diciamo che sono concentrato sul momento che sto vivendo. Non so se lei mi possa capire davvero. Temo che non mi possa capire nessuno.
  • Ci sto provando. In ogni caso non è un problema che posso risolverle io. È evidente, come lei stesso sa, che la sua mente ha operato una scelta. Vive come se non ci fosse un domani, il sogno di molta gente.
  • Non è così bello. La vita è piena di cose da fare nel futuro. Magari anche solo nel futuro recente, senza bisogno di grandi ambizioni e programmi. Ma io rifiuto pure quelli. Mia moglie non può chiedermi di andare a comprare il pane, non posso pensare di andare a vedere un film che mi interessa. Non che non ci vada, ma proprio non posso pensarlo. È un incubo, altro che sogno. È l’assenza di sogni.
  • La memoria del futuro. Interessante prospettiva…
  • Si, ma io non sono qui per farmi studiare. Io voglio guarire, sperare in una bella giornata a venire, sognare un week end meraviglioso, fremere per un’attesa eccitante, coltivare ambizioni piccole e grandi. Il mio oggi è una gabbia. Mi liberi, dottore.
  • Lei questa gabbia se l’è costruita da solo, egregio signore. Se ci fosse solo e sempre un oggi forse non moriremmo mai, non andremmo incontro a sorprese, né brutte ma neppure quelle belle che lei non si concede nemmeno il lusso di sognare. Lei non ha attivato un meccanismo di difesa, lei è di per sé un enorme meccanismo di difesa.
  • E cosa mi consiglia di fare?
  • Si compri un agenda, e cominci da subito, ora, per intenderci, a scrivere tutto quello che vuole fare. Si sforzi a pensare all’oggi moltiplicato all’infinito. Metta insieme una serie di “hic et nunc”, di cose che le piace fare. Poi si svegli la mattina e apra quell’agenda. Quelle cose che lei avrà scritto si chiamano vita. Alcune le farà, altre le manderà a quel paese, ma almeno si sarà proiettato avanti.
  • Per lei è facile a dirsi.
  • E per lei sarà facile a farsi. Perché invertirà il meccanismo. Non dovrà pensare al futuro, lo scriva. Lo trasformi in presente, lo guardi in faccia, lo prenda anche in giro, se è necessario. Senza neppure accorgersene vedrà che se lo sarà messo alle spalle.
  • Non lo so dottore, fatico pure a seguirla su questo ragionamento.
  • Lo so, la sua mente si chiude. Ma si sforzi, in fondo lei il passato lo padroneggia con disinvoltura. E allora inverta il tempo.
  • In che senso?
  • Si compri un’agenda dello scorso anno, scriva le cose già fatte e li viva come impegni. Si programmi una cosa bellissima che ha già fatto, riviva una festa già avvenuta, un viaggio meraviglioso trascorso.
  • Dottore, lei non sta bene.
  • Ma sì, prenda alla lettera il concetto di ingannare il tempo. Lo capovolga, progetti di sposare sua moglie, di fare figli già nati, di vedere film già visti.
  • Sposare di nuovo mia moglie? Lei è un sadico.
  • Sono certo che un tuffo completo nel passato le farà tornare la voglia di cose nuove, di giorni da scrivere, di attimi da vivere con l’incertezza dell’ignoto.
  • Mah, non è che mi convinca tanto. Ci proverò.
  • Lo vede, già ha coniugato al futuro. Stiamo migliorando. Anzi: migliorerà.
  • Me lo auguro. Se così vorrà dire che avrò speso bene i soldi che le ho già dato.
  • No, veramente ancora non mi ha pagato.
  • Ho capovolto il tempo, dottore. Le ho dato un assegno nel passato, non ricorda?
  • Non esageri. Me lo dia adesso. Subito, così non lo dimentica.
  • Va bene. Tenga.
  • Ecco, lo vede che sta guarendo? Ci vediamo tra un mese, mi faccia sapere.
  • Eh, no!
  • Giusto, ci vedemmo un mese fa, se lo scriva.
  • Grazie dottore. Sia stato bene!

commissario
– Mi vuole raccontare esattamente cosa è accaduto, signor Cusimano? Lei cosa ha visto?
– Commissario, io glielo dico cosa ho visto, però lei non deve interrompermi.
– Se la interrompo o no lo decido io, Cusimano! Lei risponda alle domande e stia al suo posto.
– Si, però le devo dire una cosa.
– Cosa?
– Cosa cosa?
– Cosa mi deve dire, Cusimano?
– Scusi, ma lei chi è?
– Senta, qui le domande le faccio io. Sta cominciando a indispettirmi con questo atteggiamento provocatorio. Io sono il commissario, e lei fa quello che dico io.
– Ah, si. Certo, commissario. Le volevo dire che io ho un problema alla memoria a breve termine. Non trattengo i ricordi recenti, abbia pazienza.
– E io dovrei crederle, Cusimano?
– Credere a cosa?
– Oddio, qui non ne usciamo. Se mi accorgo che mi prende per il culo la sbatto dentro. Forza, mi racconti tutto quello che sa.
– Si, certo. Io stavo portando la mia radio a riparare. È un vecchio Philips a cassette, superato dal tempo e dalla tecnologia. Però io ci sono affezionato, e anche se non mi conviene lo riparo sempre, tutte le volte che si guasta. Mentre attraversavo la piazza, ho veduto una macchina che ha sgommato e dalla quale sono uscite quattro persone. Tre di loro si sono messe il passamontagna e sono entrate nella banca.
– E il quarto?
– Quale quarto?
– Manca un quarto.
– Ah, grazie. Io a meno dieci devo essere a casa. La saluto.
– Ma che saluta? Il quarto uomo, dicevo!
– Ah, si. Io stavo portando la mia radio a riparare. È un vecchio Philips a cassette, superato…
– …dal tempo e dalla tecnologia. Lo so.
– Ah, pure lei ne ha uno, dottore? Allora sa di cosa parlo.
– Come no, ma mi dica dell’automobile. Si ricorda il tipo?
– Certo. Vuole che non conosca la mia macchina? Una panda marrone. Vecchio modello, però. Ma cammina alla grande. Almeno in città, perché altrimenti comincia a fare un fischio curioso…
– Basta, Cusimano! Lei e il suo fischio del cazzo.
– Ma come si permette? Chi la conosce, scusi?
– Io sono il commissario, porca puttana. E lei è un testimone chiave. Anche se sto cominciando a sospettare che lei voglia coprire qualcuno. O mi racconta tutto o la sbatto in cella, così le torna la memoria a breve, a lungo e a lunghissimo termine!
– Commissario, bastava dirlo, senza alterarsi. Le racconto tutto dal principio: stavo andando a riparare la mia radio. Sa, un vecchio Philips a cassette, superato dal tempo…
– E dalla tecnologia di sta minchia. E lei c’è affezionato, e lo ripara. Poi attraversa la piazza, e vede una macchina che sgomma e dalla quale escono quattro persone, tre di loro hanno il passamontagna…
– E il quarto?
– E che cazzo ne so, Cusimano, me lo dica lei se aveva il volto scoperto.
– Non lo so, sembrava così preparato, dottore. Se le cose le sa, non capisco perché debbo raccontargliele io.
– Perché mi piace il suo tono, va bene? Ci tengo che sia lei a narrarmi i fatti. Vada avanti. Ma non mi parli della radio Philips perché gliela sbatto in testa.
– E lei non mi interrompa, dottore. Dunque: della radio gliel’ho detto, della macchina pure, dei quattro uomini anche, della donna con il cappello complice che gli aperto la porta anche…
– No! Quale donna? Chi era? Come era fatta? L’ha vista in faccia?
– Chi?
– La donna, Cusimano!
– Quale donna?
– La porta, Cusimano!
– Ah, si, mi scusi. Gliela chiudo subito.
– Ma non quella porta, si sieda! La porta della banca. Gliel’ha aperta una donna si o no?
– Si, certo. Ma non è che le posso ripetere le cose cento volte! Se le appunti, se non se le ricorda.
– Adesso me le segno. Lei mi dica se la saprebbe riconoscere, quella donna.
– Beh, penso di si. Almeno, se la rivedessi, immagino di si.
– Aveva un tailleur? Una gonna? Dei pantaloni?
– Ma chi, io? No, ero con i miei jeans, come sempre.
– Cusimano, qui risultano ventisette chiamate alla polizia tutte dal suo numero nel giro di cinque minuti intorno alle 17. Voleva farci impazzire o cosa?
– Cosa?
– Che fa, mi prende per il culo?
– Non mi permetterei mai. Neppure la conosco.
– Cos’altro mi sa dire di utile alle indagini, Cusimano? Io non ho la giornata intera da potere perdere con lei.
– Nulla che lei non sappia già, dottore.
– Vabbè, io non ce la faccio. Senta, Cusimano, sia gentile. Vada a casa, scriva su un foglio tutto quello che ricorda, e domani me lo fa avere.
– Come vuole dottore. Arrivederci.

– Dottore?
– Cosa c’è ancora, Cusimano?
– Non vorrei disturbarla, ma uscendo ho visto che lei sta in questo palazzo dove c’è l’insegna della polizia. Siccome ieri ho assistito a una rapina, non è che sa a chi potrei rivolgermi per testimoniare?