– Pronto buongiorno. Mi scusi, la chiamo dall’Ufficio Organizzazione Risorse Umane. Avremmo bisogno di qualche minuto del suo tempo.
– Mi perdoni, ma vado di fretta, e non compro niente.
– Non mi sono spiegato, signore. Non deve comprare nulla, mi dovrebbe soltanto concedere qualche minuto del suo tempo.
– Ah si? Dovrei? E perché mai, di grazia?
– Perché siamo un servizio statale, e come cittadino lei è obbligato a rispondere alle nostre domande.
– Sennò che fate, mi mandate in galera?
– No, signore. Le mandiamo un’ispezione ministeriale. Poi la commissione suprema giudicherà il suo comportamento. Il tutto per non perdere pochi minuti al telefono con me. La saluto.
– E va bene. Ci sapete fare coi ricatti voi. Mi dica.
– Dunque. Stiamo lavorando al miglioramento della specie, creando le condizioni per la nascita di individui che consentano un salto di qualità, che possano garantire un futuro alla specie umana.
– Non ho capito una minchia.
– Un gruppo di ricercatori sta creando in laboratorio l’uomo perfetto, signore. Verranno impiantati artificialmente a una donna incinta, scelta tra milioni di donne, dei geni che possano far nascere l’uomo perfetto.
– E io che c’entro?
– Lei rientra tra gli individui in possesso di alcune caratteristiche ideali. Noi non possiamo trascurare nulla.
– Ma che è, un film di fantascienza? Che volete da me?
– Non si allarmi signore. Se collaborerà verrà adeguatamente compensato.
– Volete togliermi un pezzo di cervello?
– No signore. Nulla di cruento. Abbiamo solo bisogno di alcune informazioni.
– Guardi, mi trova leggermente spiazzato. Da un lato mi fa piacere che abbiate cercato me. Sapevo di avere delle qualità, ma non pensavo addirittura di contribuire a formare l’uomo ideale. Però non so…
– Abbiamo fatto delle ricerche su di lei. Sappiamo che non naviga nell’oro, che qualche migliaio di euro non le dispiacerebbero.
– Quante migliaia? Giù le carte, signor lei!
– Abbiamo la possibilità di arrivare fino a dieci.
– Venti o non se ne fa niente.
– Mi dispiace, allora. Contatteremo uno dei sette individui con le caratteristiche simili alle sue, signore. La saluto.
– Ma che saluta, aspetti! Quindici?
– Dieci o chiamo il signor Quartullo.
– E lei preferirebbe uno che si chiama Quartullo a me?
– Per cinquemila euro si.
– Dodici?
– Dieci.
– Che palle. Va bene. Sono sempre meglio di un pugno in un occhio. Però niente operazioni e cose cruente. Se dovete prendere il mio fascino, il mio humor, la mia simpatia, dovrete farlo in altri modi, sia chiaro.
– Niente di tutto questo, signore. Io mi occupo delle caratteristiche minori, dei particolari che migliorano un uomo. Quelli però che fanno la differenza. Per le qualità principali ci abbiamo già pensato da tempo.
– Ah si? E quindi da me cosa volete?
– La ricetta del suo spezzatino.
– Il mio spezzatino?
– Si signore. Diecimila euro per una ricetta penso che possano bastare.
– Ma com’è quest’uomo perfetto, mi scusi?
– Guardi, non posso dirle molto. Avrà curiosità, cultura, buon senso, pacatezza, intuito, simpatia, intelligenza, senso dell’umorismo, buon gusto, manualità, intraprendenza, altruismo.
– E basta?
– No. Per essere perfetto, come le dicevo, fanno la differenza i particolari. Sarà anche uno sportivo ma non un fanatico, un laico ma rispettoso delle varie religioni, un fedele compagno ma rispettoso dei libertini, avrà un tocco di arte ma anche di lucida follia, non sarà noioso ma neppure superficiale, saprà passare lo straccio ma negato a stirare le camicie, non farà politica ma odierà i populisti, sarà bello ma non un adone, guiderà male la macchina ma andrà in bicicletta, saprà baciare ma senza esagerare.
– Senza esagerare?
– Senza.
– E lo spezzatino?
– A quello ci deve pensare lei. Se mi dice di si. Altrimenti farà lo spezzatino come Quartullo.
– Non sia mai!
– Guardi che abbiamo ottime referenze anche su Quartullo. Se lei non mi avesse risposto al telefono sarei passato direttamente a lui. Che tra l’altro ci mette anche i piselli.
– Mi spiace, o piselli o patate.
– Conosciamo la sua teoria, signore. Se vuole mollare la ricetta faccio partire il bonifico.
– No, per telefono mai. Non mi fido.
– Controlli il suo conto, signore. C’è già la somma.
– Ci devo pensare.
– No, mi spiace. Non c’è tempo.
– Non posso farcela.
– Ho Quartullo sull’altra linea, si sbrighi.
– Si fotta, lei e Quartullo. Il mio spezzatino resta top secret.
– Come vuole signore, peggio per lei.
– No, peggio per la scienza. Nascerà un uomo imperfetto. Che bacia senza esagerare, non sa stirare le camicie e mette i piselli nello spezzatino. Povere generazioni future.
– Addio signore. Le revoco subito la somma.
– Meglio poveri che venduti.
– La saluta Quartullo. E la ringrazia.
– Coi piselli ma senza palle.
generazioni
Le nuove generazioni le conosciamo. I ragazzini di oggi sono tecnologicamente avanzati, non ce n’è uno che non sia connesso col mondo h24, che non abbia playstation, wii, nintendo, e altre diavolerie che un adulto nintende proprio.
Il fatto è che noi viviamo in un’epoca nella quale in trent’anni le cose sono cambiate come se ne fossero passati mille, e la nostra generazione si è trovata a cavallo di questa rivoluzione silenziosa.
In nessun’altra epoca trent’anni hanno mutato in egual misura usi e costumi. Dal 1850 al 1880 non ci fu lo stesso sommovimento, per dire.
Il massimo del cambiamento fu una montatura diversa di occhiali di Cavour.
Ma torniamo a noi: dicevo dei videogiochi. Io ricordo quando arrivarono quelli da attaccare alla tv. C’era il tennis, il mio preferito. Su uno schermo blu era disegnato un quadrato con una linea continua in mezzo, suppongo la rete vista dall’alto, nelle intenzioni del progettista, credo fosse Giugiaro, e a fondo campo i due giocatori. Oddio, giocatori… erano due fiammiferi che si muovevano in una sola dimensione, verso l’alto o verso il basso, e, impattando con una pallina quadrata dovevano rimandarla dall’altra parte. Anche facendola sbattere al muro, cosa non consentita nei tornei del grande slam.
Nel tennis dei videogiochi di adesso puoi scegliere il tuo atleta preferito, la racchetta in tungsteno, e far fare a Federer le volèè, gli ace, i top spin, i lob, gli smash. Premendo contemporaneamente otto tastini con due mani. Puoi decidere l’abbigliamento firmato del tennista, il suo deodorante, con chi farlo fidanzare. Oppure puoi muovere il joy stick, credo si chiami così, come fosse una racchetta, e tu un deficiente che colpisce palline immaginarie credendo di essere al rolland garros e finendo per rompere il vaso finto cinese del salotto lussandoti una spalla, visto che l’ultima sport che avevi fatto era il burraco del lunedì sera.
Siamo una generazione confusa, indecisa se guardare indietro (non facciamo altro che ricordare i bei tempi andati), magari anche per evitare di rompere il vaso del salotto, o provare ad adattarsi al cambiamento.
Con i social network crediamo di avere raggiunto il massimo. I ragazzini di oggi coi social ci sono nati, pensano sia la normalità del vivere quotidiano. Per noi no, noi siamo una generazione di fruitori passivi, di teleutenti un po’ rinco, quelli che già pensavano di avere raggiunto la libertà con l’arrivo delle televisioni private, e il passaggio da due canali a decine.
Che si vedessero decine di boiate poco importava, vuoi mettere la possibilità di scelta?
In quel caso il massimo di interattività possibile era quello di mandare affanculo Emilio Fede durante il tg4, o inveire contro il televisore se Cabrini sbagliava il rigore in finale, ma il tuo grido al più arrivava al vicino di casa, non lasciava spazio alla soddisfazione dello sfogo. Oggi, con i social, puoi insultare tutti: politici, giornalisti, showman, vip di ogni tipo. “Che hai fatto oggi?” “Mah, niente, stamattina prima di uscire ho detto a Gasparri che era un coglione, ho chiesto a Renzi di dare gli 80 euro pure a mio cognato disoccupato, ho chattato con la Pascale, ho mandato la foto del mio cane a Dudù.”
Non cambia un cazzo, ma vuoi mettere la soddisfazione?
Perché solo Grillo deve mandare affanculo tutti? Lo faccio anche io, almeno non mi ammalo di stress.
Comunque non sono solo queste le soddisfazioni. Con facebook non mi limito più a recepire passivamente le notizie. È come se avessi un quotidiano personalizzato da sfogliare non appena sveglio.
Dunque, vediamo cosa è successo stamattina: ecco, Mimmo deve piazzare due gattini, Muriel ce l’ha con gli uomini, Fausto se la prende con una stronza dedicandole la canzone di Masini, Riccardo ha fotografato il gatò di patate di ieri sera, Lucio festeggia lo scudetto della Juve. Adesso sì che l’informazione indipendente, la circolazione delle idee, la veicolazione dei contenuti, delle notizie è davvero libera. Non sono più i grandi gruppi industriali proprietari dei giornali, le lobby delle banche che devono dirci quali gattini adottare, quali femmine odiare, quali gatò cucinare, quando esultare per lo scudetto.
Se la vera rivoluzione è determinata dalla conoscenza, come facevo prima a ritenermi un uomo completo senza sapere che Raffaella parteciperà alla serata Disco apericena anni settanta ottanta con deejay Ludovico? Tra l’altro con consumazione inclusa e sconto 30% per le donne!
Fa piacere vedere che anni di lotte politiche, di collettivi, manifestazioni, impegno sociale si siano sostanziate in un selfie collettivo, negli aforismi di Coelho, negli inviti a Farmville, nelle foto della salsiccia arrotolata, nei commenti contro i lunedì e la pioggia a primavera, e nelle richiesta di sangue per una donna mai esistita.
Abbiamo uno strumento straordinario, la possibilità di comunicare con chiunque in tempo reale, di essere parte attiva di un tutto cosmico, ma nessuno ci ha detto come utilizzarlo. Oppure quegli anni di inebetimento televisivo ci hanno lasciati un attimo impreparati.
Come un bimbo che incontra il suo personaggio dei cartoni animati preferito e può parlargli, restiamo attoniti, sorpresi di fronte a cotanta possibilità. L’unica cosa che riusciamo a fare, nell’era della comunicazione orizzontale, della partecipazione collettiva, è insultare l’altro. Che sia interista, catanese, grillino, berlusconiano, renziano, laziale, frocio, automobilista, vecchio o giovane, l’importante è denigrare, attaccare e offendere chi non la pensa come noi. Ma cosa volevate, è da anni che stiamo zitti, assuppiamo tutto, e adesso che possiamo partecipare anche noi, ci volete levare il sano piacere di mandare a quel paese un nemico a caso?