Gli anni 80 non sono uguali per tutti.
Come un quadro impressionista ognuno li guarda dalla sua angolazione. Ciascuno dalla sua prospettiva, con le sue esperienze, con la propria età.
Qualcuno negli anni 80 non era nato, altri erano già maturi, altri ancora navigavano nelle perigliose acque ormonali dell’adolescenza inquieta, quella delle primissime televisioni private che il venerdì sera concedevano inimmaginabili scenari erotici a orari proibiti.
Già, il sesso.
Questo sconosciuto.
Almeno per me.
Perché esiste un momento della vita nel quale sembra di stare in un documentario di Piero Angela sugli accoppiamenti della savana, con il mondo che tromba e tu che fai l’operatore. In realtà non è così, ma i compagni più scafati raccontavano balle sesquipedali per impressionare l’uditorio. A quindici anni trovare uno ancora vergine nella mia classe era mission impossible. C’era Carlo che a suo dire aveva perso la verginità grazie ad un’amica della mamma a dodici anni, e poi aveva collezionato una serie di conquiste che manco un idraulico in un film hard.
Poi si cresceva, e qualcuna ci stava veramente.
Oddio, non con me. Ma con i compagni più grandi, i ripetenti, si.
Solo che almeno io avevo un enorme pregio, agli occhi dei miei compagni già patentati e fidanzati: la casa al mare.
Di solito ci si andava quando ce la si buttava tutti insieme, il venerdì con 2 ore di matematica e due di fisica. Via con i motorini verso Aspra, sosta a Ficarazzi per il pane di casa caldo, e tutti al mare, in primavera, a casa mia a fare i primi bagni.
Un giorno Corrado, il più amico, il più toco dei miei compagni me lo chiese:
– Sai, con Rosanna non abbiamo dove andare. Non è che mi presteresti casa tua?
– Mah, veramente non so. Sai com’è, mio padre forse non vuole…
– Ma dai, nemmeno se ne accorge. Lascio tutto come l’ho trovato. Grazie grazie grazie!
Io non sapevo dire di no. Mi assicurai che Corrado non dicesse niente a nessuno, e gli diedi le chiavi. Dopo qualche giorno fu la volta di Sergio, e poi Fabio, Guido, Antonio.
Ormai ero fottuto. Non potevo dire di no a nessuno, pena l’esclusione dal gruppo.
Almeno mi feci ripagare in colazioni alla ricreazione. Calzoni fritti a gogò.
Cominciai a tenere un’agendina, la faccenda si era fatta complicata:
– Lunedì Carlo con Laura
– Martedì Francesco con Gabriella
– Mercoledì Sergio con Laura
– Giovedì Fabrizio con Laura…
A un certo punto feci una copia delle chiavi e la diedi a Laura, risparmiavo tempo.
Un giorno, visto che c’era un Venerdì vuoto, chiesi a Laura cosa facesse quella sera. Mi disse che era l’unica sera nella quale usciva col fidanzato.
Io ancora minorenne, un anno avanti a scuola, sognavo le gioie del sesso.
Pensavo che bastasse compiere diciotto anni per avere diritto a una ragazza, tipo la visita militare. Capii da allora e per sempre che la conquista era lacrime e sangue, e soprattutto concorrenza sleale nei confronti degli altri maschi.
Ma questo è un altro discorso.
Io ero molto amico di Giusi, una ragazzina coetanea che stava nel mio palazzo, un piano sopra il mio.
Era l’unica femmina con la quale interagissi in qualche modo. Lei mi raccontava tutto, in particolar le raccomandazioni di sua madre, un pippone sul valore della verginità, sull’importanza di preservarsi fino a quando non fosse stata certa che l’uomo amato era quello giusto, meritevole del dono prezioso a tutti negato.
A casa mia non si parlava mai di sesso. Qualcosa la intuivo dai miei fratelli più grandi, che si portavano delle ragazze e si chiudevano in stanza quando io volevo giocare con loro. Il gioco che mi facevano fare sempre era un gioco curioso, che ricordo ancora oggi: dovevo andare in cucina, dall’altra parte della casa, e contare fino a mille prima di farmi rivedere. Ma forse sbagliavo qualcosa, perché anche dopo avere contato fino a mille, tornavo e la stanza era ancora chiusa, chissà perché. Era un gioco con regole nettamente da rivedere.
Proprio per questo pudore familiare, condizionato dalle raccomandazioni della mamma di Giusi, applicavo anche io il teorema del valore virginale. Non che ce ne fosse sto gran bisogno, eppure proprio l’unica volta che, a una festa di compagni, Laura, forse per l’eccesso di alcool, forse per completare l’album, mi propose di appartarmi con lei, io le dissi che per me la verginità era un valore, e che ci tenevo a concedermi soltanto nei confronti della donna della mia vita.
Non capisco ancora, a distanza di anni, che cazzo avesse da ridere.