naso

pezzi

All’inizio quasi non gli diede importanza. Perse qualche pelo, un sopracciglio, l’unghia del ditino del piede, cose così.

Per stress succede, si disse, e fece in modo di non stressarsi troppo.

Una mattina si svegliò senza il mignolo della mano sinistra, e lì si allarmò un pochino:

  • Cara, mi devi aiutare! Ho perso il mignolo.
  • Sei il solito distratto. Hai visto nel secondo cassetto della scrivania?
  • Non hai capito, non ho più il dito, non c’è proprio!
  • Devo venire io? Lo sai che poi lo trovo…

Ci sono cose a cui un uomo può rinunciare, altre meno.

Passi per i capelli, un dito, due, qualche pezzo di pelle, ma giunti al naso, Ermete si spaventò alquanto. Telefonò al suo medico alle sette e mezza di mattina, non poteva attendere oltre:

  • Dottore, mi deve aiutare.
  • Eh, la sento. Che brutto raffreddore. Si prenda dell’Aspirina e vitamina C, e se non passa andiamo all’antibiotico.
  • No, dottore, la faccenda è un poco più grave. Non ho più il naso.
  • Allora metta anche delle gocce decongestionanti. Succede di non sentire più il naso, in questi casi.
  • Ma io non ce l’ho più. L’ho trovato sul cuscino. Se vuole glielo porto.

Alla fine il dottore si convinse a visitarlo con maggiore attenzione. Ermete indossò una sciarpa fino agli occhi, benché fosse Giugno, e andò immediatamente dal suo medico, con il naso in una scatola delle scarpe.

  • Dottore, mi dica la verità, sto per morire? Perdo i pezzi, qualcosa ogni giorno.
  • Ma no, lei non morirà. La sua è una sindrome rara ma esistente. Si chiama Sindrome di Frangini, dal nome dello scopritore, un ricercatore che perdeva tutte cose, o più volgarmente La malattia del distratto.
  • Ma è terribile, dottore. E che devo fare?
  • Stia più attento, amico mio.
  • Lei scherza, ma io non dormo più, dal terrore che mi svegli senza qualcosa.
  • Stia tranquillo. La sindrome in questione non è grave. Non si dimostri uno attaccato alle cose. Anche perché sono le cose che si staccano da lei.
  • Ho bisogno di un secondo parere.
  • Le do il numero del dottore Marsullo.
  • E chi è?
  • Un mio amico, specializzato in secondi pareri. Lo chiami quando vuole.

Ermete era avvilito. La moglie minimizzava. Appena lo vide senza naso dapprima nemmeno lo notò, poi gli consigliò di cambiare la foto profilo su facebook.

Lui continuò a perdere pezzi.

Un giorno il gomito, un altro una chiappa, un piede, un orecchio.

Si consolò pensando che finora aveva perduto solo cose di cui ne aveva un’altra, e sperò di non perdere nessun pezzo unico.

Chiamò con grandi speranze il dottor Marsullo.

  • Buongiorno, qui Marsullo, secondoparerista, come posso esserle utile.
  • Vorrei un secondo parere.
  • Ha chiamato alla persona giusta, mi dica.
  • Guardi, io perdo i pezzi.
  • Sindrome di Frangini?
  • No, questo è il primo parere.
  • A volte coincidono, amico mio. Lei dovrebbe fare una cura di Attacchin forte, per almeno due settimane, e vedere se risolviamo il problema.
  • Ma l’Attacchin l’ho già provato. Non si può avere un terzo parere?
  • Guardi, i terzopareristi ormai sono tutti in pensione e qualcuno in galera.
  • Come in galera?
  • Si, per compiacere i pazienti davano pareri positivi a malati incurabili. Non vorrà mica mettere nei guai un collega anche lei?
  • Non mi permetterei mai.

Le settimane passavano, e di Ermete restava sempre meno.

In compenso si trovavano sue parti del corpo in tutta la casa. Un polso dentro la credenza, un occhio nella mensola della cucina, un piede nel mobiletto del bagno.

  • Io questo tuo disordine non lo sopporto più. Ieri nel ragù mi è finito il tuo pollice, ti sembra normale?
  • Ma cara, io sto male e tu mi rimproveri?
  • Ancora con sta storia che stai male? Ma non lo capisci che non hai niente?
  • Veramente qualcosa ce l’ho. Anche se ancora per poco, forse…
  • Non ti fidi nemmeno del secondoparerista. Se non hai fiducia nella medicina come puoi pensare di guarire? Non ci pensare e vedi di aiutarmi a sistemare il mobile della camera da letto, ho bisogno di una mano.
  • Ma ne ho una soltanto…
  • Mi basta.
  • Non ce la faccio, mi sento a pezzi.
  • Ogni scusa è buona, lo sapevo!

A poco a poco la sindrome si attenuò, e Ermete perse sempre meno pezzi. Ma forse soltanto perché ne restavano pochi.

Un giorno si ruppe definitivamente la palla e decise di farla finita.

Per sua sfortuna non ci riuscì, ormai era senza mani, e anche suicidarsi non era semplice.

Con fatica fece un fagottino con le sue parti cadute, e andò via di casa, lasciando un pezzo di cuore in quella che una volta era stata una bella storia.

E che lo aveva lasciato a pezzi.

smile
In tempi di crisi ho dovuto reinventarmi. Ho cambiato lavoro.
D’altronde bisogna essere pronti a prevenire i momenti difficili, e per quello che facevo io tirava una brutta aria.
Fino a pochi mesi fa io vendevo sorrisi. Non sorrisi industriali, quelli posticci e finti, ma espressioni singole personalizzate e tutte lavorate a mano dal sottoscritto.
Un lavoro come non se ne fanno più.
Modestamente sorrisi come i miei non erano tanti a saperli fare. Io ho l’arte, me l’hanno insegnata mio padre e mio nonno. Il vero sorriso non si fa solo con l’allargamento della bocca. Per quello sono bravi tutti.
Bisogna disegnare un movimento complessivo del viso, che parte dalle guance, ma che poi deve interessare il naso, gli occhi, le sopracciglia e a volte anche la fronte.
Intanto si devono allargare le narici, ma il naso non si deve contrarre verso l’alto, altrimenti sembra che avete trovato uno scarafaggio peloso sul cuscino. Ecco, proprio quel movimento che avete fatto adesso leggendo dello scarafaggio!
Bravi, adesso questo era un sorriso migliore, ma si può fare di più.
Va gettata un po’ d’aria sempre dal naso, ma non troppa da somigliare a un tricheco. Proprio un soffietto. Quasi un singulto.
Le gote si gonfiano un minimo, anche in maniera asimmetrica per quelli che prediligono il sorriso laterale, quello sornione e un po’ furbetto.
Gli occhi si strizzano, e quelli non mentono. Saprei riconoscere un sorriso finto in uno stadio pieno da una curva all’altra e bendato. No, forse bendato no, ma il concetto è chiaro.
Il movimento della strizzata di occhi aggrotta la fronte, e a volte alza appena il livello delle orecchie.
Il sorriso perfetto è un’arte, purtroppo che si è quasi del tutto perduta.
Fino a qualche anno fa avevo diversi clienti, sia all’ingrosso che al dettaglio. Poi ci furono solo i politici in campagna elettorale, i produttori di spot e di grandi show televisivi. Ma con quelli non ci ho mai lavorato, a loro della qualità del sorriso non gliene importa nulla, andavano sulla quantità e sul risparmio.
Poi c’era Berlusconi, ma quello aveva un suo fornitore di fiducia, il figlio di quello che vendeva i sorrisi a Carlo Dapporto.
Adesso vanno forte i produttori all’ingrosso di espressioni maschie, rudi, da uomo forte.
Il sorriso non lo vuole più nessuno, al massimo qualcuno ti chiede la risata sguaiata o quella sarcastica da talk show politico, da usare contro l’avversario. Roba tutta fatta in Cina, cucita dai bambini, cose che non ho mai voluto trattare.
Ora mi sono riciclato, costruisco risposte pronte, alla bisogna.
Il lavoro è completamente diverso, più impegnativo, meno artigianale. La risposta pronta è necessaria però, va via come il pane.
Solo che, per quanto pronte, ci vuole il tempo che ci vuole per preparare una risposta.
Cosicché non diventa più pronta, è una specie di risposta a scoppio ritardato. Magari una risposta bellissima, appropriata, ma inutile.
C’è crisi. Forse dovrò cambiare di nuovo lavoro.
Intanto mi sono rimasti un sacco di sorrisi invenduti, nuovi nuovi.
Interessa l’articolo?