Pagina 2 di 7

condominio

Il mio è un condominio di gran lusso.

È così di lusso e ben frequentato che non so bene cos’è che ci faccio io.

Al secondo piano ci vive l’assessore Scapparelli, al terzo il presidente dell’Ente Autonomo Regionale Grandi Eventi (EARGA), onorevole Paterna, nella scala B un costruttore milionario proprietario di mezzo palazzo, e all’ammezzato la contessa Dupont, francese, che vive sei mesi a Lione e sei mesi qui.

Roba che se dimentica lo yogurt prima di partire per l’altra casa, i fermenti lattici organizzano le feste nella casa vuota.

Io li conosco poco, buongiorno e buonasera, come si fa in Italia anche coi serial killer.

Ogni tanto qualche riunione di condominio, in case super lusso dove un soprammobile costa quanto la mia cucina arte povera.

L’ultima volta una signora che non conoscevo ha lungamente protestato per le spese di giardinaggio, proponendo un suo giardiniere, per risparmiare dieci euro al mese. Diviso venti condomini.

Ho poi capito che la signora era la moglie del costruttore. Gente che paga la prima rata dell’Imu con quello che io guadagno in quindici anni. Lordi.

Forse sono così ricchi proprio perché attenti al centesimo.

Comunque è tutta gente molto pulita, attenta ai particolari, osservante fino all’ultima riga del regolamento condominiale. A parte il proprietario dell’atelier di moda, il signor Bargellini, che deve settemila euro di rate arretrate, più i lavori della fognatura intasata, che abbiamo pagato noi benché fosse nel suo negozio.

Ma si sa, la puzza non tiene padrone, e abbiamo preferito procedere coi lavori.

Poi si fa tutto un conto, pare.

Ieri l’amministratore mi ha scritto, riportandomi continue lamentele di alcuni condomini nei miei confronti.

Mentre leggevo la mail pensavo a cosa avevo fatto di male: avranno sentito le mie urla mentre faccio l’amore?, ( ma mi sembrava strano, giusto quell’unica volta negli ultimi sei mesi!),  avranno visto il mio ciclamino secco sul balcone?, avrò impuzzato l’atrio con i calamari fritti? O forse sarà stato per quella volta che ho organizzato un torneo di burraco, con urla inevitabili?

Ma no, sarà stato certamente per quel piccione morto che ho seppellito nell’aiuola del cortile.

Mio cugino mi ha raccontato che una volta un piccione che sembrava morto, poi si è svegliato sotterrato e col becco ha tolto la terra e ha ricominciato a volare.

Invece, andando avanti nella lettura, scopro che si tratta di due strofinacci che la signora Caterina ha lasciato martedì scorso stesi ad asciugare. Vergogna!

Adesso dovrò licenziare la signora Caterina, verrà fuori uno scandalo per la signora che ha perso il lavoro a causa di due strofinacci bagnati, partirà su facebook una campagna contro la vessazione dei padroni, e io sarò additato al pubblico ludibrio. #jesuiscaterina

Pazienza, sono i prezzi da pagare quando si vive in un palazzo frequentato da bella gente.

#checifaccioioqui?

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA

Da qualche tempo è in voga un’usanza che sconoscevo, che adesso mi appare stupida e che mi ha causato una gran figura di merda.
Sto parlando dei regali di compleanno aperti tutti insieme con pubblico plaudente e spargimento di battute idiote.
Qualche anno fa fui invitato da una donna con la quale era appena finita una storia, al suo compleanno in un locale dotato di “apericena”.
Presi questo gesto come un segnale di riapertura nei miei confronti. Pensai che la cosa migliore per riavviare una relazione fosse un regalo particolare, qualcosa che richiamasse la nostra intesa intima, conosciuta solo a noi.
Ricordo che non mi capacitavo del perché F. non portasse mai biancheria intima concordata, per quale motivo il reggiseno facesse a pugni con le mutandine, sempre di colore e marche diverse.
Mi feci il giro dei migliori negozi di intimo della città, ogni volta cercando di descrivere al meglio il corpo di F. alle divertite commesse.
– Com’è questa sua amica, signore? Ha il fisico come il mio?
– No, è meno magra. Forse un po’ più alta.
– Come questa signora che è appena entrata?
– Ma noooo! È molto più carina. Non ha i fianchi così grossi e ha le tette più grosse!
– Ma come si permette? Villano!

Ogni volta venivo cacciato dal negozio, e alla visita a quello successivo dagli sguardi diffidenti immaginavo che avessero segnalato la mia foto a tutti gli esercizi commerciali di intimo della città.
Alla fine ci riuscii, comprai due completini di misure diverse e misi insieme sopra e sotto.
F. era forte di petto e magra di sotto, il sogno di tutti gli uomini, esclusi i produttori di biancheria intima.
Mi presentai al compleanno pulito ed eccitato.
F. mi abbracciò affettuosa, mi prese il pacchetto regalo e lo mise in un angolo con tutti gli altri.
Per fortuna avevo inserito un biglietto di auguri particolare, altrimenti, pensai, come avrebbe ricostruito l’autore del regalo?
La prima sorpresa della serata fu la presentazione del suo nuovo fidanzato, un avvocato calvo e diversamente alto.
La serata cominciava a mettersi male.
Dopo qualche wodka lemon e degli insulsi tramezzini, si passò a un rituale a me sconosciuto: l’apertura dei regali tutti insieme.
Sentii un sudore freddo scendermi dietro il collo.
Cominciai a indietreggiare elegantemente, verso l’uscita.
F. prendeva un regalo a caso, leggeva il biglietto, lo apriva tra gli “ohhhhh” degli astanti, e le battute improbabili di una specie di animatore de noantri, con macchina fotografica in prima fila.
Alla fine accadde quello che non potevo più evitare. F. prese il mio pacchettino, aprì il biglietto e lesse ad alta voce il contenuto: “Dovrò trattenermi per non strapparti anche queste. Non vedo l’ora di riprendere i nostri giochini. Ti aspetto domani.Buon compleanno. Il tuo coniglietto arrapato.”
Questo era, parola più parola meno, il contenuto.
Non lo ascoltai, ero già in macchina verso casa.

tempo-che-sfugge

 

  • Buongiorno dottore. So che lei si occupa di disturbi della memoria.
  • Dice? Non ricordo.
  • Non faccia lo spiritoso, la mia situazione è seria. E unica.
  • Stia tranquillo, la memoria è come un muscolo. Va esercitata, e se la trascuriamo si atrofizza.
  • Per me è diverso.
  • Adesso vediamo. Le farò una serie di test mnemonici per valutare l’efficacia della sua memoria.
  • Dottore, ma io lo so già. I miei ricordi sono eccezionali.
  • E allora perché si lamenta?
  • Io ricordo con impressionante dovizia di particolari fatti accaduti decine di anni fa.
  • Mi faccia capire. È questo il suo disturbo allora?
  • No, non è questo. Il mio problema è un altro. Non ho memoria del futuro.
  • Buona questa. Vedo che non sono solo io che faccio lo spiritoso.
  • Dottore, mi stupisco di lei. La memoria non è solo passato. È anche ricordare i propri progetti, gli appuntamenti, gli impegni, le ambizioni…
  • In questo caso lei non ha problemi di memoria. Semplicemente ha voglia di vivere alla giornata. Succede, sa?
  • Fuori strada. Io tengo famiglia, un buon lavoro, e sono anche discretamente benestante.
  • Forse si vuole godere il presente, e non pensare troppo a ciò che verrà. Non è grave, amico mio.
  • Dottore, io non cosa devo fare domani. Ma che dico domani? Io non so cosa mi aspetta uscendo fuori di qui. Non riesco a prendere un appuntamento perché lo dimentico, non posso andare da dentista se non facendogli una sorpresa, se al telefono mi dicono “ci sentiamo domani”, dopo pochi secondi non ricordo più questo messaggio.
  • E ricorda però la telefonata?
  • Si, tutto. Escluse le informazioni che riguardano il futuro. È come se la mia mente filtrasse e scartasse tutto quello che riguarda le cose ancora da accadere.
  • Eppure riesce a vivere. Le cose le fa, mi pare di capire.
  • Le faccio, dottore. Vado a cena fuori perché mi ci porta mia moglie. Non posso prendere impegni, dimentico anche di scrivermeli sull’agenda, ho un rifiuto totale. Ma non sono un nostalgico, non sto lì a pensare sempre al passato. Diciamo che sono concentrato sul momento che sto vivendo. Non so se lei mi possa capire davvero. Temo che non mi possa capire nessuno.
  • Ci sto provando. In ogni caso non è un problema che posso risolverle io. È evidente, come lei stesso sa, che la sua mente ha operato una scelta. Vive come se non ci fosse un domani, il sogno di molta gente.
  • Non è così bello. La vita è piena di cose da fare nel futuro. Magari anche solo nel futuro recente, senza bisogno di grandi ambizioni e programmi. Ma io rifiuto pure quelli. Mia moglie non può chiedermi di andare a comprare il pane, non posso pensare di andare a vedere un film che mi interessa. Non che non ci vada, ma proprio non posso pensarlo. È un incubo, altro che sogno. È l’assenza di sogni.
  • La memoria del futuro. Interessante prospettiva…
  • Si, ma io non sono qui per farmi studiare. Io voglio guarire, sperare in una bella giornata a venire, sognare un week end meraviglioso, fremere per un’attesa eccitante, coltivare ambizioni piccole e grandi. Il mio oggi è una gabbia. Mi liberi, dottore.
  • Lei questa gabbia se l’è costruita da solo, egregio signore. Se ci fosse solo e sempre un oggi forse non moriremmo mai, non andremmo incontro a sorprese, né brutte ma neppure quelle belle che lei non si concede nemmeno il lusso di sognare. Lei non ha attivato un meccanismo di difesa, lei è di per sé un enorme meccanismo di difesa.
  • E cosa mi consiglia di fare?
  • Si compri un agenda, e cominci da subito, ora, per intenderci, a scrivere tutto quello che vuole fare. Si sforzi a pensare all’oggi moltiplicato all’infinito. Metta insieme una serie di “hic et nunc”, di cose che le piace fare. Poi si svegli la mattina e apra quell’agenda. Quelle cose che lei avrà scritto si chiamano vita. Alcune le farà, altre le manderà a quel paese, ma almeno si sarà proiettato avanti.
  • Per lei è facile a dirsi.
  • E per lei sarà facile a farsi. Perché invertirà il meccanismo. Non dovrà pensare al futuro, lo scriva. Lo trasformi in presente, lo guardi in faccia, lo prenda anche in giro, se è necessario. Senza neppure accorgersene vedrà che se lo sarà messo alle spalle.
  • Non lo so dottore, fatico pure a seguirla su questo ragionamento.
  • Lo so, la sua mente si chiude. Ma si sforzi, in fondo lei il passato lo padroneggia con disinvoltura. E allora inverta il tempo.
  • In che senso?
  • Si compri un’agenda dello scorso anno, scriva le cose già fatte e li viva come impegni. Si programmi una cosa bellissima che ha già fatto, riviva una festa già avvenuta, un viaggio meraviglioso trascorso.
  • Dottore, lei non sta bene.
  • Ma sì, prenda alla lettera il concetto di ingannare il tempo. Lo capovolga, progetti di sposare sua moglie, di fare figli già nati, di vedere film già visti.
  • Sposare di nuovo mia moglie? Lei è un sadico.
  • Sono certo che un tuffo completo nel passato le farà tornare la voglia di cose nuove, di giorni da scrivere, di attimi da vivere con l’incertezza dell’ignoto.
  • Mah, non è che mi convinca tanto. Ci proverò.
  • Lo vede, già ha coniugato al futuro. Stiamo migliorando. Anzi: migliorerà.
  • Me lo auguro. Se così vorrà dire che avrò speso bene i soldi che le ho già dato.
  • No, veramente ancora non mi ha pagato.
  • Ho capovolto il tempo, dottore. Le ho dato un assegno nel passato, non ricorda?
  • Non esageri. Me lo dia adesso. Subito, così non lo dimentica.
  • Va bene. Tenga.
  • Ecco, lo vede che sta guarendo? Ci vediamo tra un mese, mi faccia sapere.
  • Eh, no!
  • Giusto, ci vedemmo un mese fa, se lo scriva.
  • Grazie dottore. Sia stato bene!

supermercato

La vidi al banco dei salumi. E dopo due minuti ero già cotto.
Lei era bellissima davvero.
Non certo una bufala. E neppure una finocchiona, a prima vista.
Vitasnella, una Sisa meglio dell’altra, un culatello perfetto! Robiola di alto Bordeaux, insomma.
Già la immaginavo a Pecorino.
Io avevo la pancetta, e restai lì a guardarla come un salame. Meritavo la coppa per il più imbranato. Con la sfiga che avevo non nutrivo speranze. Ci voleva un approccio dai modi affettati.
Speck delle mie brame, perché sono il più impacciato del reame? Speravo almeno che non fosse una legata alla grana.
Cominciai a seguirla col carrello pieno di speranza.
All’altezza dei surgelati lei mi sembrò ancora più fredda, ma vicino allo scaffale delle conserve, il peggio sembrava passato. Addirittura in prossimità dei primi mi sembrò perfino che avesse riso.
Cercai tutto il coraggio che avevo, e nel reparto carni le chiesi se avesse un secondo per me. Ma quanta fatica mi era costata? Non riuscivo a toglierle gli occhi dal salvaslip.
Ero timoroso. Rubai una Santa Rosa e un Garofalo e glieli regalai. Ero pronto per il Raid. E se mi avesse mollato una pizza regina?
Pensai : “Comunque ne Vape la pena!”
“Saiwa! Veniamo al succo. Farò Bio presto, sono uno Svelto, io. Sei bella come il Sole, sai? Sembri una Star. Non faccio Cirio di parole, questa Syrah mi piacerebbe essere il tuo Coccolino. Non mi trovi un bell’Omo? Ti va di fare quattro salti in padella?”
Cercai di fare un po’ di brodo, ma non era tutta farina del mio sacco. In realtà pensavo a intrecci di linguine, a una serata hard discount, alla sua Patasnella, a fare Crik Crok. Avevo sentito dire che il pelato andava di moda, era considerato Labello dalle donne.
Lei forse mi voleva The Star, ma intanto io mi vergognavo come un ladro beccato Carrefour-tiva. Quelle poche parole che avevo pronunciato mi avevano distrutto, ero parzialmente stremato.
Mi guardava come se fossi l’unico Morettino in mezzo a Omini bianchi.
Si vedeva subito che rispetto a una Donnafugata qualsiasi, lei era di un’altra pasta.
“Ma lei è fusillo! Come si peppermint? Non ha il senso della Misura, ha la faccia come il kukident. Non rompere i conchiglioni. (Mi disse passando al TUC). È giunta L’Oreal che te ne vai Viakal!”
Mi piaceva il suo fare tutto pepe. Non era certo una gatta Motta. Misi da parte i miei sensi di Coop e le proposi un do ut Dash. Mi sentivo in Lysoform, ma lei continuava a mandarmi a calcare.
“Io me ne vado, ma tonno presto, non pensare che ti Chianti.” Le dissi.
Non ci fu niente da fare. Non era polpa pronta.
Finish.
Me ne tornai a Rio Casamia, con le mezze penne calate.
Mi lasciò con l’Eurospin, e mi fece fare la figura del Merlot. Lasagnai per almeno tre notti.
Che palle, Maina gioia. Spero almeno che non si seppia in giro.
Comunque adesso non ci vado più al supermercato senza una donna.
No woman no Crai.

cinghiale

Finalmente il tagliere con l’antipasto.
Fame.
– Vorrei brevemente illustrarvi l’origine dei prodotti del nostro tagliere.
– Eh? Ah, si. Grazie.
– Questi sono due tipi di affettati, il primo è un salame di suino nero dei nebrodi, alimentato semplicemente a bacche di ginepro verde, quindi assai più magro del normale. Viene abbattuto solamente in macelli verificati dalla campionatura controllata dall’unione europea, con un peso che non può superare gli ottanta chili.
– Scusi, altrimenti?
– Altrimenti cosa?
– Se pesa di più?
– Se pesa di più viene lasciato libero nei boschi.
– Mio zio Aldo sarebbe libero da un pezzo allora.
– Come?
– Niente, scusi. Prosegua.
– L’altro salame proviene dalle terre delle Madonie, a chilometro zero…
– Veramente ci sono almeno cinquanta chilometri…
– …è un salame di cinghiale marsicano a pelo ispido, e la particolarità è che viene macerato per dodici anni con acqua e zenzero cileno, fino a quando qualcuno non si accorge che è rimasta della carne putrefatta nell’acqua e ne fa del salame.
– Interessante. Possiamo…
– Poi ci sono quattro tipi di formaggi a pasta friabile: il primo è una provola…
– …mi faccia indovinare: a chilometro zero?
– No, al chilometro 34 della statale 112. È un formaggio di vacca EVA.
– Vacca Eva?
– Si signore. Effettivamente Vergine Autentica, una razza pregiata che bruca solamente erba di montagna oltre i tremila metri dal livello del mare. Una volta una vacca ha brucato dell’erba portata da un livello inferiore ed è stata giustiziata dal plotone di controllo delle vacche pregiate e venduta a trance alla Mc Donalds.
– Se l’è meritata. Ci scusi, avremmo fame…
– Questo è un piacentino ennese, lavorato con zafferanno ennese, condito con pepe…
– …ennese?
– No, pepe di cayenna della maremma maiala, famoso per la sua consistenza molle e il sapore deciso. L’altro formaggio è un caciocavallo a crosta larga, prodotto da latte di capra del Belice sopravvissuta al terremoto del 68, trattata con dolcezza da pastori educati alle scuole Montessori, ripassata nell’estratto di Nero d’Avola essiccato a forno a duecentodieci gradi celsius.
– Grazie. Possiamo mangiare, col suo permesso?
– Questo è un pomodorino secco macerato al sole, come facevano i nostri nonni…
– I nostri?
– Si.
– Ma abbiamo nonni in comune, scusi? Lei come fa di cognome?
– No, che c’entra? Dicevo così per dire…
– E non dica.
– Mi scusi. Mio nonno essiccava il pomodoro al sole, tenendolo otto settimane e mezzo.
– Come Mickey Rourke?
– Quasi. E poi c’è la ricotta al forno, prodotta da pecore allo stato semi brado, guidate da un cane pastore allevato alla Bocconi…
– Bocconi Pal?
– Anche. E infornata dodici volte.
– Mi scusi, ma dodici volte in quanto tempo?
– In un quarto d’ora.
– Ah, allora va bene.
– Le cipolle in agrodolce arrivano da coltivazioni rigorosamente tenute nascoste al consumatore per salvaguardarne la bontà e non diffondere i segreti della lavorazione.
– Ottima idea. Adesso se ci lascia…
– Le salsine sono lavorate in nero da minori rigorosamente selezionati in base alla razza…
– Grazie!
– …mentre le marmellate di mirtilli di Volterra devono accompagnare i formaggi tenendo chiuso l’occhio destro alternativamente al sinistro…
– Basta!
– …i funghi primaticci sono stati rubati dalle migliori campagne del catanzarese…
– Se non se ne va immediatamente le tiro il tagliere a chilometro zero.
– Mi spiace contraddirla, signore, ma il tagliere non è tutto a chilometro zero. Esistono dei prodotti importati, che, come le dicevo…
– Non mi sono spiegato. Glielo spacco in testa qui, a chilometro zero, o meglio, a centimetri dieci. Ci lasci mangiare!
– Come vuole signore. Mi spiace che non abbia ascoltato l’origine del rosmarino romagnolo…
– Suca.
– Vado, signore.
– Grazie.

cretino

– Buongiorno, devo notificarle un avviso.
– Che palle. La solita multa?
– No, si tratta di una notifica di connotazione personale.
– Non la seguo.
– Un decreto ha stabilito che vengano notificati alcuni avvisi di cretinaggine a cittadini particolarmente meritevoli dell’epiteto in questione.
– Non so perché, ma ho la sensazione che mi abbia appena dato del cretino.
– Complimenti. Quasi quasi non lo meriterebbe. Ma non sta a me. Io devo solo notificarle l’avviso che lei è un cretino. È contento?
– Ma scusi, perché proprio io? Ha conosciuto il ragioniere Mazzapelle, del primo piano? Se non notificate prima a lui, mi rifiuto di firmare!
– Guardi che non è una gara, egregio amico. Da qualche parte si doveva cominciare, e lei è uno dei primi. Io sarei contento, al suo posto.
– Allora se lo notifichi da solo, scusi.
– Non posso. Il decreto porta il suo nome, lei da oggi è cretino per decreto. Anzi, per decretino, direi.
– Abbiamo pure il messo spiritoso.
– Guardi che io il mio posto l’ho vinto per concorso.
– E che c’entra, scusi?
– Lei dice che io ci sono stato messo. E si sbaglia.
– Lei non è stato messo. Lei è messo!
– E lei è cretino. Adesso posso dirglielo.
– Come si permette?
– È scritto qui.
– Ma se io mi rifiutassi di firmare? Perché dovrei, sarei un cretino a firmarlo.
– Appunto.
– Appunto cosa, scusi?
– Mi ascolti. Lei è un cretino, da oggi, con tanto di patente. Se non dovesse firmare, metterebbe in discussione l’essenza stessa della sua cretinaggine, mi segue?
– No.
– È normale, perché lei è cretino.
– Ma così non ne usciamo, signor messo.
– Io non mi lamenterei, fossi in lei. Di fronte a tanti cretini de facto e non de iure, lei almeno è schedato. È, come dire, un cretino DOC, a denominazione di origine cretina.
– Senta, ma io che ho fatto di così importante per essere un cretino? Io non do’ fastidio a nessuno, mi faccio il mio, pago le tasse…
– …ecco, forse si sta rispondendo da solo.
– Ah, perché chi rispetta le leggi è un cretino, secondo lei, razza di messo raccomandato?
– Lo sta dicendo lei.
– Si, ma lei mi sta bollando come cretino ufficiale. Da oggi non potrò più andare dal salumiere, dal giornalaio, dal fruttivendolo. Chi lo sente quello?
– Stia tranquillo, a breve la notifica arriverà a molti. Non la prenderei in giro, se fossi in loro. Magari un giorno mi toccherà portare una notifica uguale anche a loro, chi lo sa?
– E nel frattempo io che faccio, lo scemo del paese?
– No, casomai il cretino.
– Ascolti, faccia finta che non mi ha trovato, sia un messo buono, se ne vada a messa, si confessi, vedrà che nessuno le dirà niente.
– Ma come faccio? E poi perché? In una società in crisi di identità e valori, lei almeno ha una certezza: è un cretino. Le pare poco?
– Mi pare troppo. Lei è un messo, ma tra i due io sono messo peggio.
– Sia gentile, signor cretino, vedrà che fino a quando non si diffonderanno i decreti, lei acquisterà popolarità, la cercheranno tv, giornali, internet, donne…
– Donne cretine, però.
– Anche. Dia retta a me, accetti la notifica. Ascolti un cretino…
– Anche lei? Collega?
– Ma no, si fa per dire.
– Va bè, dove devo firmare?
– Qui. Ecco… no, ma dove ha firmato?? Non vede che c’è lo spazio per la firma? Ma lei è un cretino!
– Si. E da oggi esercito, anche. Grazie messo. Futuro collega.
– Ma vedi che razza di gente. Cretino preciso!

revisione

– Buongiorno, sono qui per la revisione.
– Bene. Diamo una controllata generale. Quando è stata l’ultima volta?
– Beh, ecco… Veramente io non l’ho mai fatta.
– Ahi.
– È grave?
– No, spero di no. Sarà forse un po’ più costoso.
– Vabbè, comunque è una spesa che va fatta.
– Direi proprio di si. Allora: controlliamo le convergenze sentimentali. Vediamo un attimo… Si, sono da cambiare.
– Da cambiare?
– Guardi lei stesso. Qui c’è l’usura degli anni. A quanto pare ha messo sotto sforzo parecchio le spatole.
– Le spatole?
– Si, che poi se le convergenze sentimentali sono usurate vorrà dire che anche il senso di colpa sarà quasi completamente esaurito. Cosa le dicevo? Un altro po’ e lei mi combinava qualche omicidio…
– Ma quale omicidio?
– Signore mio, senza più un briciolo di senso di colpa si commettono nefandezze inimmaginabili. Mi dispiace ma dobbiamo mettere una fornitura intera.
– Ma non ci sono più abituato ai sensi di colpa. Non possiamo reintegrare giusto un attimino?
– Attimino un corno. Mi faccia dare una controllata al cinismo. Oddio, ecco qui. Lo sapevo.
– Che sapeva?
– Il cinismo ha debordato. Dobbiamo cambiare le guarnizioni e sigillare il tutto.
– Ma perché?
– Perché altrimenti il cinismo supera i livelli di guardia, raggiunge la zona del sentimento, e siamo fritti.
– Siamo fritti?
– Ma certo amico mio. Le pastiglie della serenità almeno le ha cambiate ogni due anni?
– Si, quelle si!
– Sicuro?
– Oddio, proprio ogni due anni forse no. Ma una volta le ho cambiate sicuro. Questo me lo ricordo.
– Io non so come ha fatto ad arrivare sin qui, signore. Non oso pensare in che stato troverò la coscienza!
– No, guardi, la mia coscienza è perfettamente a posto. L’ho usata pochissimo.
– Ecco, appunto. Preparo una coscienza nuova ultimo modello. Quelle marca Zeno non si usano più.
– Ma quanto dovrò spendere?
– Lasci stare. Le farò un trattamento di favore. Vedo che la memoria tutto sommato è in uno stato accettabile…
– Accettabile? Io mi ricordo tutto, egregio signore. Ho una memoria da elefante. Posso dirle pure cosa si mangiava dai miei nonni la domenica.
– Non si illuda, dicono tutti così. È perché non sapete che esistono i falsi ricordi.
– I falsi ricordi?
– Si, coprono con desideri repressi i buchi neri dell’inconscio. A proposito: a inconscio come siamo messi?
– E come siamo messi? Me lo dica lei.
– Per quello devo fare un controllo accurato. Non basta un’occhiata superficiale. Ma sono altri duecento euro, glielo devo dire.
– No, se non è necessario no. Evitiamo.
– Come vuole. Ma se incontra una pattuglia della PS, lei è in difficoltà.
– La Polizia Stradale?
– No, la Pulizia Sentimentale.
– Perché, cosa possono farmi?
– Quelli controllano tutto, e ci mettono poco a scoprire le magagne dell’inconscio. A ritirarle la patente di seduttore non ci mettono niente.
– Ma io non ce l’ho la patente di seduttore!
– Ah, peggio mi sento! Quindi ha sedotto finora senza patente. Senta, io non voglio sapere nulla. Altrimenti dovrei denunciarla alla SUCA.
– A che?
– Alla Società Unica Coscienze Avariate. Loro rottamano senza aggiustare.
– Forte!
– Se le piace così!
– No, a me no. Guardi, mi metta tutto a posto, convergenze sentimentali, coscienze, inconscio e altri cazzi. Voglio vivere sereno.
– Sereno? Allora deve restare in laboratorio almeno un altro mese. La rivolto come un calzino, sistemo tutto, e poi le rilascio la certificazione ISO, UNI, UNESCO, AISCAT, Anica, Amat, Atac e Aci. Sarà un uomo nuovo.
– Un uomo nuovo e rovinato, immagino.
– Non si preoccupi. Tariamo il minimo più basso, così potrà vivere con poco. Abbassiamo il livello delle aspettative, tarocchiamo le ambizioni, e siamo a posto.
– No, guardi, lasci stare. Tarocchi a sua sorella. Io ho alte ambizioni, e la mia coscienza funziona benissimo. Mi tengo il mio cinismo, sto bene così e risparmio pure.
– Ma come fa? Se la fermano?
– Rischio. Arrivederci.
– E se le dico SUCA?
– Lo dica a sua sorella, dopo averla taroccata. Addio.

macchina-tempo2

Non che ci pensasse sempre.
Però alle porte dei sessant’anni qualche rimorso viene a galla. E Ruggero da qualche giorno ricordava un episodio sgradevole, archiviato in quanto raffigurante un ragazzo impacciato e goffo, nulla che somiglasse all’odierno professionista di successo.
Eppure.
Eppure se quella mattina di un mucchio di estati addietro fosse stato meno imbranato e, magari, anche meno vergine, forse Clementina lo avrebbe baciato.
Anzi, lo avrebbe baciato di certo, la situazione era ideale.
Erano al largo del golfetto, distesi su uno dei primi materassini matrimoniali gonfiabili, probabilmente inventati per fare limonare d’estate al largo di un golfetto, un diciottenne nerd e una diciassettenne con le sue cose già a posto.
Da qualche giorno quell’insignificante episodio, collocato nella parte bassissima della classifica degli eventi rilevanti nella vita di un dirigente di azienda di cinquantanove anni, faceva curiosamente capolino con una certa insistenza.
Sembrava quei venditori di rose più tenaci degli altri, che alla fine gli dai un euro per togliertelo di torno.
– Cosa vuoi da Clementina, sono passati quarant’anni, non essere ridicolo!
– Non voglio nulla, ma chissà come sarebbe andata.
– E come vuoi che sarebbe andata? Al massimo un vicolo cieco nella strada della tua vita. Una digressione momentanea.
– Non credo proprio, poteva cambiare tutto.
– Ma finiscila, hai tre figli e una moglie devota.
– Si, troppo devota. La felicità sarebbe stata con Clementina, solo adesso lo so.
– Lo pensi perché la tua vita è questa, avresti detto lo stesso a parti invertite.
– Mah…

Questo il tenore delle sue conversazioni allo specchio, prima di dormire.

– Caro, con chi parli?
– No, con nessuno, tesoro. Riflettevo su cose di lavoro, a voce alta…
– E chi è sta Clementina?
– Ma quale Clementina? Parlavo dell’ingegnere La Mattina, hai sentito male.

Dopo due mesi di tormento, una mattina Ruggero si svegliò strano.
Forse un sogno particolarmente vivido, ancora con l’oggetto del suo desiderio adolescenziale, quella mela non colta.
La moglie non era nella sua metà di letto, il pigiama gli sembrava largo.
Andò a pisciare, e, passando davanti allo specchio del bagno, cacciò un urlo disumano.
Chi cazzo era quello?
Si, era lui, ma molto più giovane, con tutti i capelli, neri e senza alcuna ruga.
Era lui giovane, che razza di maleficio gli stava toccando?
Seduto sul water stette qualche quarto d’ora a cercare un senso. Il senso non poteva che essere uno: la famosa seconda occasione.
Dio o chi per lui gli offriva su un piatto d’argento l’opportunità di recuperare il suo clamoroso errore. L’aveva riportato nel 1974, davanti al bivio decisivo.
Non più un amore finto, affettività surgelata, bensì una vita felice con Clementina, senza ossi e compromessi.
Non stava nella pelle. E manco nei vestiti da adulto.
Pianificò nei dettagli l’incontro con quella creatura meravigliosa, e ritenne che luogo e giorno avrebbero dovuto essere i medesimi, come in Ritorno al futuro. E senza incontrare altra gente conosciuta per non alterare il futuro, creando un paradosso spazio temporale.
Non fu molto complicato, tutto sembrava organizzato per rivivere una seconda volta quella mattinata agostana.
Perfino il materassone gonfiabile era quello, un modello a tubi mai più visto.
Ruggero e Clementina si ritrovarono nuovamente soli al largo, guardati da lontano da amici invidiosi e amiche curiose.
Lei indossava un bikini largo a fiori larghi, lui un port cross con la cinghietta in metallo che gli faceva il culo flaccido.
Gli occhi di lei emanavano gioia di vivere, emozione, e una studiata malizia eroticissima.
Lui brufolava cretinate per provare a farla ridere.
La sua vita stava prendendo un’altra piega, quel bacio imminente avrebbe consentito un magico cambiamento di rotta, altro destino e altro modo di vivere.
Ruggero avvicinò la sua mano sinistra ai capelli dorati di Clementina, bella come un’attrice delle soap.
La carezzo, lei sorrise.
Lui prese coraggio, e avvicinò le sue labbra a quella bocca morbida.
Si stava perdendo negli occhi di lei, e chiuse i suoi per non abbagliarsi.
Andò per realizzare l’incontro, come tra la navicella spaziale e la stazione lunare.
Solo che la stazione lunare si allontanò.
– No, guarda, tu mi piaci, ma c’è prima Luca.
– Luca?
– Si, me l’ha chiesto prima lui, e forse oggi pomeriggio lo bacio. Però io e te possiamo restare amici se vuoi.
Ruggero rimase perplesso. Che razza di seconda chance era?
E soprattutto, come cazzo si torna nel futuro adesso?macchina-tempo2

neurone

Ciaooooo. Che piacere. Tu sei Marco, ti ricordi di me?
– Ma certo. Come stai?

– Ehi, sveglia!
– Che vuoi?
– C’è lavoro per te. Sbrigati. Un volto da riconoscere, cerca nell’archivio.
– Al solito siamo. Ma che fa, l’ha salutata o pensa di conoscerla?

E che mi racconti di bello? Vedo dei tuoi successi, complimenti!
– Grazie. cosa vuoi che ti dica, in periodi crisi come questo non è semplice andare avanti. Poi non si sa mai come vestirsi…

– L’ha salutata, stanno parlando e lui non ha idea chi sia. Ci chiede aiuto, fai in fretta perché non sa che argomenti tirare fuori. Sta parlando della crisi di valori, del cambio di temperatura e delle mezze stagioni.
– Ma perché non fa una cura di fosforo? Ogni volta la stessa storia.
– Vedi almeno se c’ha avuto una storia, che quello è capace…
– No, per quello devi sentire il neurone hard. Quello ricorda tutti i culi anche solo visti per strada, figurati se dimentica una con cui ha avuto una storia!
– Allora cerca nell’archivio delle amicizie scolastiche, in quello sportivo, in quello politico sociale, però presto, che lo sento arrancare.

– E tu come te la passi? Sempre attività politica?
– Chi io? Politica? Per carità!

– Pure presto! Io ho una certa età, non c’è più ricambio di neuroni da anni, qui. Sai quant’è che faccio sto lavoro?
– Visti i tuoi ritmi, a occhio qualche millennio.
– Si, però risolvo ancora un sacco di situazioni imbarazzanti. Che ci posso fare se questo ormai ha centinaia di conoscenti? E poi la gente non si può presentare, come si faceva una volta?

– È tanto che non vedo tua sorella. Sta bene?
– Ma io non ho sorelle.
– Ah, scusa. Non faceva nuoto con te?
– Io non so nuotare. Te lo sei dimenticato?

– Presto! Ha già fatto due gaffe. Le ha chiesto di sua sorella e quella non ne ha, e se n’è uscito con una cosa sul nuoto e questa non sa manco galleggiare. Annaspa.
– Lei?
– No, lui.
– Aspetta, dal confronto del viso sono uscite trentasei donne che potrebbero essere questa. Cerca di mandarmi qualche altro dato, il fatto che non sa nuotare ha ridotto già a diciannove.
– Ti mando qualche immagine del sorriso. Ecco.
– Ma questo è palesemente un sorriso finto. L’archivio lo sai che respinge i sorrisi finti. Mi puoi mandare un primo piano delle tette, che lo giro al neurone hard?

– Che fai, mi guardi le tette?
– Figurati, stavo ammirando il vestito.

– No, niente, nemmeno le tette richiamano qualcosa. Siamo messi male. Ma ammettere la sconfitta e chiedere chi cazzo è, pare brutto?
– Si, ormai abbiamo superato di due minuti di conversazione, non si può. Vedi di darmi qualche indizio e io glielo giro.
– Ok. Potrebbe essere una ballerina di tango, la fidanzata di un ex collega, tale Mauro, una tizia conosciuta al funerale della nonna di Giulia, una ex di ventidue anni fa, e una giornalista precaria tifosa della Juve di Palermando, un blog che non legge nessuno. Dev’essere per forza una di queste.
– Io provo a inoltrare, non abbiamo molto tempo!

– Ma con Mauro sei rimasta in buoni rapporti? Io Giulia la sento ogni tanto, ci vogliamo comunque un gran bene.
– Mauro chi? Giulia? Forse parli di Giulia Longoni, la parrucchiera?
– No, Giulia, quella che fa tango, come te.
– Io veramente faccio salsa.
– E tifi sempre per la Juve? Quest’anno non avete dove andare, lo sai!
– Mai seguito il calcio. Ti trovo strano, Marco. Non è che mi confondi con qualcun’altra?

– Ragazzi, lo sta sputtanando. Non ne abbiamo azzeccata una, la figura di merda è in agguato.
– Proviamo a coinvolgere il neurone sparigliatore.
– No, quello no.
– Ma sì, è l’unica. Gli fa una specie di supercazzola e funziona sempre, credimi!

– Comunque l’ultimo di Sorrentino l’ho trovato apocalittico, non pensi? A volte richiama certa pittura espressionista, però senza l’aggressività ostentata tipica della scuola danese. Sei d’accordo?
– Ma, veramente io…
– Senti, lasciami il tuo numero, che ho resettato il flight con il download dell’hard disk di settore del mio smartphone, così magari ti faccio un wattsapp e ci messaggiamo via messenger, che ne dici? Se ti va ti porto a vedere la migrazione del falco pellegrino nel giorno del solstizio d’inverno, è spettacolare.
– Ok, con piacere.
– Ciao allora. E grazie. sono contento ti sia piaciuto il mio libro.
– Sempre a guardare sotto il viso tu, però, eh?

– Ma che hai fatto? Così non sapremo mai chi era.
– Ormai non c’era speranza. Lo sparigliamento ha funzionato.
– E lo hai messo a guardare le tette fino alla fine.
– Macchè, è stato il neurone hard. Non si stanca quasi mai quello.
– Vabbè, io vado a dormire. Speriamo non ci sia altro lavoro per oggi.
– No, oggi no, ma giovedì c’è un’altra presentazione. Allertiamo rinforzi, prevedo super lavoro.

senso2

– E adesso? Come la mettiamo?
– Come la mettiamo cosa?
– Che senso ha tutto questo? Un’altra vita nel fiore dei suoi anni spezzata con dolore. Con un codazzo di sofferenza, rimpianti, ferite. Qualcuno mi dica perché.
– Non c’è un perché. E la mente umana non contempla nulla di diverso da ciò: si nasce, si cresce, chi più chi meno, e si muore. Funziona in questo modo.
– Mi stai dicendo che non vi è alcun senso. Che siamo in una sala d’aspetto in attesa che esca il nostro numerino. Ma chi ha programmato tutto questo, un sadico?
– Non so, secondo la tua mente illuminata invece come avrebbe dovuto funzionare? Che cosa ti saresti inventato al posto del grande creatore?
– Io avrei fatto che non si moriva. E nemmeno si invecchiava, che la decadenza è cosa squallida.
– Quindi tutti immortali. E con la sovrappopolazione come la metti?
– Si potevano inventare dei periodi di fermo biologico. Dove non era consentito fare figli. I corpi già esistenti, però, dopo un certo periodo sarebbero stati abitati da altre anime.
– Fammi capire: io sto con mia moglie, e a un certo momento mi ritrovo una sconosciuta a letto al posto suo?
– A parte che anche così non sarebbe male, il fatto che non funziona è questa angosciante definitività. Se io sapessi che mio zio, mia mamma, ma anche il mio cane, non muoiono del tutto, ma possono sempre tornare a trovarmi, posso discuterci, continuare ad amarli, a vederli, tutto sarebbe diverso. Il male assoluto è questa sensazione di vuoto, o di terrore del vuoto finale. Senza questo saremmo esseri felici, come fai a non arrivarci?
– Al netto delle tue fantasie malate, questa è la vita. Che vuoi farne? Angosciarti aspettando la fine?
– No, non lo voglio fare e non lo faccio. Ma con una fatica mostruosa. Se mi fermo per strada a pensare mi passa la voglia di qualunque cosa, di programmare vacanze, di comprare mensole per casa, di aggiustare il sali scendi della doccia. A che serve?
– A posare il telefono della doccia, immagino.
– Perché devo pagare il bollo auto, leggere libri, imparare cose, se posso morire domani?
– Puoi provare a non pagare le tasse e raccontargli questa storia, ma temo che non si inteneriscano.
– Io voglio qualcuno che mi dica che senso ha. Dove si trova la voglia di vivere, di creare, di costruire, di amare?
– Non puoi farmi questo discorso ogni volta che muore qualcuno che conosci, magari giovane. Nel mondo accade ogni istante, con la differenza che non possiamo viverlo sulla nostra pelle. Altrimenti moriamo di dolore a ogni naufragio di immigrati, a ogni strage dell’Isis, per ogni testa mozzata, perfino per gli incidenti stradali.
– Quindi mi stai dicendo di fottermene. Che dobbiamo continuare a mettere il parmigiano sulla pasta alla norma durante il Tg2, mentre ascoltiamo di vite orrendamente spezzate. Ma cosa siamo, animali?
– Non so se dobbiamo fottercene o meno, non credo. Penso che esista un metro per ogni cosa, che la pelle debba proteggerci dalle oscenità del mondo, che nessuno di noi ha spalle così grandi per reggere tutti i dolori del mondo, è già tanto portare con sé i propri.
– Io non ce la faccio, mi dispiace. È morto Duccio venti giorni fa, a 54 anni, Silvia ieri a 41, entrambi con sofferenze e consapevolezza di andare via. Perché?
– E cosa ne so io perché? Chi crede trova risposte nella religione…
– …si, l’oppio dei popoli.
– …altri cercano un senso nell’amore, nella famiglia, nei figli.
– E secondo te io faccio un figlio col rischio di vedermelo portato via come hanno fatto con mio fratello?
– Non so cosa dirti. La gente continua a fare figli, a dare un senso alla propria esistenza, esce, guida, mangia, ride. Non mi sembra che si stia tutti depressi ad aspettare la fine.
– E neppure io, ma un cazzo di segnale non mi dispiacerebbe. Un’inversione di tendenza, un mondo meno feroce, esseri umani meno inumani, tutto ciò forse renderebbe meno orrendo il mondo.
– Tu mischi massimi sistemi e dolori privati, non funziona così.
– Ah no? E come funziona, di grazia? Io sono un individuo ma anche parte di un sistema, un figlio ma anche un cittadino, e come tale ho miserie private e pubbliche tristezze.
– Forse ti sei indurito. L’amore può dare un senso a molte cose.
– Aridaglie! Siamo sempre lì: l’amore è togliere la pelle, farsi toccare dalle emozioni, non avere più difese dai possibili dolori. Non si può vivere così. I manicomi, prima che li abolissero, erano pieni di gente che amava.
– Tutto ha un senso: scrivere, abbracciare, ridere, condividere, baciare, leggere, guardare, nuotare, fare l’amore.
– Tutto questo ha il senso di trascorrere il tempo, in attesa di.
– Che palle! Ma un po’ di ottimismo no? Così non ne usciamo.
– No, ne usciamo. Continuiamo a fare l’amore, a leggere, a vedere film, a cucinare, a viaggiare e vedere posti nuovi. Concordo con te. Però spiegatemi perché muoiono Silvia, Sandra, Luigi, Duccio, Roberto… Altrimenti va benissimo tutto, ma non chiamatela vita. Chiamatela attesa, è più coerente.
– Riempila, questa attesa, mettici più cose che vuoi, levaci quelle che non ti garbano, tranne il bollo auto che se no ti arriva la mora. E vedrai che se invece di chiamarla attesa non le dai un nome, vivrai meglio. Lo so perché so che sai farlo. E piangi, quando muore Silvia, o Duccio, che piangere fa bene.
– Non mi hai convinto, ma finirò col darti retta.
– Non credo tu abbia molte alternative.
– Non si sa mai. Se scopro il senso della vita magari cambia tutto.
– Ok, casomai chiamami.
– Grazie.
– È stato un piacere.